Stile Alfa Romeo

I PROMESSI ALFISTI - Capitolo III

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ALFA147GT
view post Posted on 25/3/2009, 13:48




La casa della giovine era tutta agghindata per la festa, con nastri rossi e bianchi e stemmi dell’Alfa e stendardi e gagliardetti ovunque ed in ogni angolo della casa, persino il più remoto, trasudava trepidazione per l’atteso evento. La di lei famiglia da sempre professava il suo amore per la casa milanese, dapprima con uno splendido esemplare di Alfasud color marrone testa di moro ed in seguito con l’ancor splendente Alfa 33 1.3 VL rossa, che faceva bella mostra di se nel cortile.
Elisa in quel momento usciva tutta attillata dalle mani della madre. Le amiche si rubavano la sposa, e le facevan forza perché si lasciasse vedere; e lei s’andava schermendo, con quella modestia un po’ guerriera di chi non è amante di tali smancerie, ma allo stesso tempo fiera ed entusiasta dietro un sorriso radioso. Oltre all’ornamento particolare del giorno delle nozze, aveva quello quotidiano d’una bellezza estatica, rilevata allora ed accresciuta dalle varie affezioni che le si dipingevan sul volto: una gioia temperata da un turbamento leggiero, quel placido accoramento che si mostra di quand’in quando sul volto delle spose e, senza scompor la bellezza, le dà un carattere particolare.
E così la trovò Maurizio, appena varcata la soglia dell’abitazione. Con un pretesto, la tirò in disparte, lontano da occhi ed orecchi indiscreti, per comunicarle, con fare di chi si cruccia per la trista notizia ma che al tempo stesso vorrebbe menar le mani a destra e a manca per risolver la situazione, ciò che il curato gli aveva testè riferito. Al sentir cotali parole, la giovine trasalì per un momento ed angosciata esclamò: “Fino a questo segno è giunto quel marrano!!”
“Dunque voi sapevate..?” disse Maurizio.
“Sapevo è parola grande…Avevo intuito qualcosa, perché successe alcuni giorni addietro che passasse proprio qui di fronte Don Luca, accompagnato dal suo fido e bieco Duca, nel mentre che voi stavate lasciando casa mia a bordo della vostra 147GT. Al che, con fare sprezzante, Don Luca disse che mai e poi mai avrebbe permesso che una donna di tale fascino avesse continuato a frequentare un misero 4 cilindri e che meglio le si confaceva viaggiar ed avere in dote un gioiello della tecnica motoristica, quale era il 6 cilindri Busso. Per tutta risposta, Duca, con quel suo ghigno che non promette mai nulla di buono, acconsentì con il capo e…e proferì parole di lode al suo Signore, prendendosi l’onere e l’onore di fermare tale scempiaggine. Il tutto si concluse con una sonora risata da parte dei due.”
“E cosa vi impedì di narrarmi tale vicenda?”
“Santissima Vergine! Chi avrebbe creduto che le cose potessero arrivare a questo segno! E poi conoscendovi, sapevo che sareste partito lancia in resta a vendicar l’oltraggio. Mi confidai, sì, con Fra Mario che mi disse che cercassi d’affrettar le nozze il più che potessi. Fu allora che feci la sfacciata, e che vi pregai che procuraste di far presto, e di concludere prima del tempo che s’era stabilito…” qui le parole furon troncate da un violento scoppio di pianto.
Per il lettore che non sappia, occorre precisare che Fra Mario, al secolo Mario Angelo, era uomo di gran cultura automobilistica e ben conosceva tutte le cose relative all’Alfa, dalle origini fin ai giorni nostri. Varcò le porte di Arese molti anni addietro: la leggenda narra che il vero fondatore della casa meneghina sia stato proprio Fra Mario, ma che per la modestia che distingue i miti dagli uomini abbia lasciato a Nicola Romeo il prestigio terreno di perpetrare il suo nome sullo stemma delle vetture del Biscione. Avvezzo a diatribe e schermaglie, sulle piste di tutto il mondo e fuori, seppe fronteggiar tedeschi e francesi, inglesi e americani, mantenendo sempre alto il nome ed il valore dell’italica supremazia. Tale profusione di energie gli valsero il diritto di nomarsi come frate, evangelizzatore e curatore delle perdute anime d’oltralpe.
Fra Mario già mal sopportava le divisioni tra estimatori delle trazioni posteriori ed ammiratori delle trazioni anteriori, che avevan già portato al proliferare di una miriade di piccoli club chiusi in un becero diffamarsi a vicenda e che avevan, altresì, dato modo ad altri stranieri di prender il sopravvento: da sempre professava che tutte le vetture di Arese sono vere Alfa, senza distinzione di sorta. Ed al sentir sbeffeggiare e deridere un propulsore brianzolo solo perché dotato di 4 cilindri anziché di 6, sgomento trasalì e si inalberò. Ma ben sapeva che ricondurre alla ragione un uomo qual’era Don Luca era compito assai arduo anche per lui: tutti conoscono il carattere gioviale e disponibile del signorotto, ma altrettanto bene si conosce la sua fermezza qualora voglia ottener qualcosa per diletto o per capriccio. Bisognava in qualche modo fermare, osteggiare, contrastare il suo infido disegno.
“Ah birbone! Ah dannato!” gridava Maurizio, correndo innanzi e indietro per la stanza, e stringendo di tanto in tanto la carta di circolazione della sua 147.
“Oh che imbroglio, per l’amor di Dio!” esclamava la madre di Elisa, che nel frattempo, messa in sospetto ed in curiosità dallo sparir della figlia e da quel confabular con toni sommessi tra i due amanti, aveva congedato con una scusa le amiche radunate e si era messa in disparte ad ascoltar il racconto della figlia.
Maurizio si fermò d’improvviso davanti ad Elisa che piangeva; la guardò con un atto di tenerezza mesta e rabbiosa, e disse: “Questa è l’ultima che fa quel ribaldo”.
“No, no, per amor del cielo!” ripeteva da madre “Date retta a me. Io son venuta al mondo prima di voi; ed il mondo lo conosco un poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto lo si dipinge. Fate a mio modo: andate a parlare con la dottoressa Azzanna-raduni, ma non chiamatela così per amor del cielo…è un soprannome. Bisogna dire con la dottoressa…Come si chiama, ora? Oh to’! non lo so il nome vero: la chiaman tutti a quel modo. So di per certo che ha un certo ascendete con Don Luca. Ho visto io più d’uno ch’era più impicciato che un pulcin nella stoppa, e non sapeva dove batter la testa, e dopo essere stato un’ora a quattr’occhi con la dottoressa Azzanna-raduni (badate bene di non chiamarla così), l’ho visto, dico, ridersene. Pigliate quei cataloghi della PAM e fatele vedere i paraurti per il suo Peugeot 206CC. Ditele che siete in grado di averli, che avete conoscenze, che sarete ben lieto di farglieli avere entro breve come omaggio per i suoi servigi, perché non bisogna mai andar con le mani vote da que’ persone. Raccontatele tutto l’accaduto; e vedrete che vi dirà, su due piedi, di quelle cose che a noi non verrebbero in testa, a pensarci un anno.”
Maurizio abbracciò molto volentieri questo parere e si mise subito in cammino, presi i cataloghi, verso l’abitazione della dottoressa, distante pochi chilometri in direzione Palazzolo. Prese a saggia decisione di lasciare da Elisa la sua vettura, per non esser veduto da’ ragazzi, che gli correrebber dietro, gridando: lo sposo! Lo sposo!
Così, attraversando i campi, se n’andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia e ruminando il discorso da fare alla dottoressa Azzanna-raduni.
Giunto al borgo, scorse l’abitazione della dottoressa: la riconobbe subito perché faceva bella mostra di se, davanti all’uscio, la nera leonessa di Parigi, fiera ed altera con il tetto debitamente ripiegato all’interno del vano baule posteriore. E si chiese per qual motivo e con qual cagione potesse una estimatrice delle casa francese riuscire nell’intento di far recedere dai suoi propositi l’arcigno signorotto locale. Con siffatti pensieri bussò alla sua porta ed entrò nello studio dove la dottoressa era ben affaccendata.
 
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