Stile Alfa Romeo

I PROMESSI ALFISTI - Capitolo IV

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ALFA147GT
view post Posted on 17/4/2009, 14:39 by: ALFA147GT




La dottoressa Azzana-raduni era solita venir interpellata per dirimer questioni di vital importanza, data la sua sconfinata conoscenza delle cose di legge. Ma di fronte a tale situazione sembrava anche lei smarrita e, pur ragionando su libri, articoli e leggi, non riuscì a dipanar l’intricato garbugliamento. Così meditabonda, appoggiò il gomito sinistro sul ginocchio, chinò la fronte nella palma e con la mano destra strinse il mento, come per tener ferme e unite tutte le potenze dell’animo. Ma la più attenta considerazione non serviva che a farle scorgere più distintamente quanto il caso fosse pressante ed intrigato e quanto scarsi, quanto incerti e pericolosi i ripieghi. “Mettere un po’ di vergogna a Don Vasja e fargli sentire quanto manchi al suo dovere? Vergogna e dovere sono un nulla per lui, quando ha paura. E fargli paura? Che mezzi ho io mai di fargliene una che superi l’onta e l’oltraggio di denigrar la sua amata Opel a vantaggio di un’Alfa?” Contrappesato il pro ed il contro di questo e di quel partito, il migliore le parve di non affrontar Don Luca sul suo terreno, ma di proporre ai giovani amanti di fuggire lontano, di recarsi senza indugio alla corte di Fra Mario che avrebbe di sicuro trovato una soluzione per riportar alla ragione l’indomito signorotto ed i suoi fidi scagnozzi.
Il giovine accettò senza remore il consiglio della dottoressa, ma al tempo stesso se ne andò pensieroso: chiedere consiglio ed abbassare il capo di fronte a tale soverchieria senza poter alzar la voce e menar le mani era cosa che non gli andava a genio. Avrebbe voluto narrar a tutti l’ingiustizia che stavan subendo lui e la sua amata per opera di quel birbone, avrebbe voluto schierar tutto il borgo di fronte al palazzo del signorotto, con in prima linea le Giulia berlina 4 cilindri degli anni ’60, seguite dalle GTA coupè, dalle Alfette e dalle Giuliette, tutte mosse dal 4 cilindri brianzolo, avrebbe voluto ricordare al marrano locale che la prima vera Alfa montava un 4 cilindri…ma queste cose Don Luca già le sapeva e quindi a ben poca cosa valeva rimembrargliele.
Così preso dai suoi pensieri, giunse alla casa di Elisa e della di lei madre sul far della sera. Quivi trovò le due donne in trepida attesa e le mise entrambe a conoscenza della soluzione pacifica propostagli dalla dottoressa. Elisa parve tirar un sospiro di sollievo, vedendo che una via d’uscita s’era aperta. Di certo ella confidava molto nell’aiuto di Fra Mario e vedeva in lui una fonte di saggezza ed una speranza di scamparla, anche se la strada da percorrere sarebbe stata irta di ostacoli, anche perché non v’era ragion di esser certi che l’intervento del frate avrebbe frenato i propositi di Don Luca.
Ma la madre, in apparenza tutta intenta all’aspo che faceva girare, stava maturando un progetto; e, quando le parve maturo, ruppe il silenzio in questi termini:
“Sentite, figliuoli! Se volete aver cuore e destrezza, quanto bisogna, se vi fidate di vostra madre, io m’impegno di cavarvi di quest’impiccio, meglio forse e più presto di Fra Mario, quantunque sia quell’uomo che è. Ascoltatemi bene, che vedrò di farvi intendere il mio piano: ho sentito che per fare un matrimonio ci vuole bensì il curato, ma non è necessario che voglia; basta che ci sia.”
“Come sta questa faccenda?” domandò Maurizio.
“Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimoni ben lesti e ben d’accordo. Si va dal curato: il punto sta di chiapparlo all’improvviso, che non abbia tempo di scappare. L’uomo dice: signor curato, questa è mia moglie; la donna dice: signor curato, questo è mio marito; e il matrimonio è bell’e fatto.”
“Se l’affare è così semplice ed onesto, perché mai non ci è stato suggerito anche dalla dottoressa?” replicò Elisa dubbiosa.
“Perché per gli uomini e le donne di legge questa è cosa che non istà bene” disse la madre “La legge l’hanno fatta loro, come gli è piaciuto e noi poverelli non possiamo capir tutto”.
“Così a parole sembra semplice, ma voi cara signora non conoscete bene il nostro curato” proseguì Maurizio “Lei pensa davvero sia possibile immobilizzarlo in qualche modo, bloccarlo, obbligarlo ad udir le nostre parole? Chi potrebbe riuscire nell’impresa? Lei sa bene, madre, che nemmeno i bravi di Don Luca potrebbero ardire a tanto se non fossero tutti in gruppo. Lei sa bene che in paese il nostro Don Vasja è da tutti nomato come il Colosso di Rodi e questo già dovrebbe bastare a farle intendere che io da solo non potrei riuscire nell’intento. Non sarei in grado nemmeno di abbracciarlo tutto con le mie braccia: basterebbe un suo colpo e sarei bell’e disteso sul pavimento con un forte mal di capo. No è impresa troppo ardua per noi. Ma ha visto le dimensioni delle sue mani? E la sue braccia? Possenti. Massicce. No, no non si puote davvero.”
Anche Elisa concordò con il suo amato che quella proposta non avrebbe potuto trovar esito favorevole, data la differente possanza fisica tra Maurizio ed il curato. Nel frattempo era sopraggiunta la notte e Maurizio dovette congedarsi, poiché alle donne non pareva cosa conveniente che egli si trattenesse più a lungo a quell’ora.
Ma lasciamo i nostri novelli sposi alle loro preoccupazioni, e rechiamoci al palazzotto di Don Luca.
Dal giorno in cui meditò la ribalderia, non aveva avuto altri pensieri pel capo che trovar il modo per impedire quel matrimonio, ben conscio che se qualcosa fosse venuto all’orecchio di Maurizio, questi avrebbe fatto di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote. Intendiamoci bene, non che Don Luca avesse paura di quel ragazzotto di paese, ma sapeva bene quanto fosse testardo e fermo nelle sue decisioni: se si era messo in testa di maritarsi avrebbe fatto il diavolo a quattro pur di portar a compimento il suo disegno, si sarebbe anche scontrato con vigoria contro di lui e data la sua scaltrezza avrebbe di sicuro trovato modo e maniera di averla vinta. Non saprei dire chi dei due fosse più irremovibile dalle sue posizioni: a dirla grossa, ma che nessuno mi senta, si potrebbe pensare che fossero addirittura fratelli!! Lungi da Don Luca questa balzana idea, che non ci fosse neanche un briciolo di possibilità che i due avessero legami di sangue. In siffatti pensieri arrovellandosi, misurava innanzi ed indietro, a passi lunghi, la sala dei trofei, dalle pareti della quale pendevano locandine di raduni passati, poster e foto di Alfa Romeo, mensole con sopra centinaia di coppe, coppette, gadget e modellini. Era ai più conosciuta come “La stanza dello spirito e del tempo” e chi aveva l’onore di poterci entrare era accolto da un cartello recante codesto monito: “Grazie a Dio sono un alfista vero”. Alla presenza di tali memorie, Don Luca pensava come soddisfare insieme alla passione e a ciò che chiamava onore. Fece chiamare il Duca, il capo dei bravi, il fidatissimo del padrone, quello a cui si imponevano la imprese più rischiose e più inique.
“Duca” disse Don Luca “in questa congiuntura , si vedrà quel che tu vali. Piglia quanti uomini ti possono bisognare, ordina e disponi come ti par meglio; purché *bestemmia* la cosa riesca a buon fine. Prima di domani, quell’Elisa deve trovarsi in questa sala ad ammirare il mio 2.5 ed il mio GTA e dovrà convincersi che 6 e meglio di 4. Ma bada sopra tutto, che non le sia fatto male e che le si porti rispetto in ogni maniera. Hai inteso?”
“Non si dirà mai che il Duca si sia ritirato da un comando dell’illustrissimo signor padrone.”
Qui, il Duca a proporre, Don Luca a discutere, finché d’accordo ebbero concertata la maniera di condurre a fine l’impresa, senza che rimanesse traccia degli autori, la maniera anche d’impor silenzio alla madre di Elisa, d’incutere a Maurizio tale spavento, da fargli passare la voglia di guidare la sua 147GT e finalmente di decidersi ad acquistar una GTA; e tutte l’altre bricconerie necessarie alla riuscita della bricconeria principale.
 
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